(Canterbury, Kent, 1564 Deptford, Londra, 1593) drammaturgo e poeta inglese. Figlio di un benestante calzolaio, dopo i primi studi a Canterbury fu, dal 1581, borsista a Cambridge, dove si laureò nel 1587. Risalgono a questo periodo i suoi primi contatti col servizio segreto di stato e col circolo di Walter Raleigh, che amava circondarsi di uomini aperti e spregiudicati.Ateo o comunque schernitore della religione, ammiratore di Machiavelli, M. fu forse il maggior rappresentante degli «university wits», cioè di quel gruppo di intellettuali usciti dall’università, formati sui classici, coinvolti attivamente nella vita tumultuosa di Londra e accomunati dal gusto della parola, dal culto della forma, dalla passione per l’acutezza dei concetti. Negli anni universitari, con le traduzioni degli Amores di Ovidio e della Pharsalia di Lucano, M. maturò quella abilità metrica che poi lo renderà maestro del blank verse. Forse coeva è la sua prima opera drammatica: La tragedia di Didone, regina di Cartagine (The tragedy of Dido, queen of Carthage, 1586?), di un classicismo ancora accademico. Poco si sa di lui dopo il trasferimento a Londra: nel 1589 fu coinvolto in una lite; il 30 maggio del 1593 fu ucciso in una taverna durante una rissa sorta per il pagamento del conto.M. conobbe prestissimo il successo con Tamerlano il Grande (Tamburlaine the Great), rielaborazione fantastica e tragica delle imprese del leggendario conquistatore mongolo Timur, in 2 parti (1587-88). Seguirono La tragica storia del dottor Faust (The tragical history of doctor Faustus, 1588 o 1592) che, ispirata alla tedesca Historia von Johann Fausten (1587), nei secoli seguenti entrò nel repertorio del teatro dei burattini, giungendo per questo tramite (secondo la tradizione) fino a Goethe; L’ebreo di Malta (The jew of Malta, 1589); La strage di Parigi (The massacre at Paris, 1591-92); il dramma storico Edoardo II (Edward II, probabilmente 1592). L’ultima opera di M. è il poemetto Ero e Leandro (Hero and Leander, 1593), ispirato al greco Museo, in cui il poeta sembra tornare, ma con ben altra maturità, ai temi classicheggianti e sensuali dell’adolescenza.Tra i maggiori drammaturghi elisabettiani, M. fu per certi aspetti considerato un precursore di Byron, di Shelley e del romanticismo in genere: in un linguaggio vigoroso, ricco, a volte iperbolico, egli porta sulla scena individui isolati dal contesto sociale, pervasi da passioni estreme e titanicamente monologanti: Tamerlano, roso dalla brama di dominio, crudele fino al grottesco, ma segretamente inquieto, ansioso d’infinito; Faust, assetato di scienza e di bellezza; Barabba, implacabile nella ricerca di una vendetta che lo porterà alla rovina. Solo l’Edoardo II, forse anche per l’influenza dell’Enrico VI di Shakespeare, presenta una struttura diversa: l’attenzione non è più tutta rivolta a un personaggio centrale e isolato, ma a un intero gruppo; al prevalente monologo lirico si sostituisce un più fitto e vivace tessuto dialogico.